INTERVISTA CON L'AUTORE
A. C. MCKENZIE SI RACCONTA E CI RACCONTA
DEL SUO ROMANZO LA CADUTA, VOLUME 1 E 2
La Caduta è il tuo romanzo d'esordio, il primo della saga DË MultiMünda. Perché lo hai scritto?
Ho sempre avuto una fervida fantasia. Sin da bambino amavo creare delle storie e costruire dei personaggi nella mia mente. Qualunque racconto leggessi o vedessi, immaginavo il modo in cui mi sarebbe piaciuto modificarlo, riscriverlo. Quando, ad esempio, ho iniziato a leggere libri fantasy, filone molto in voga negli anni '90, evitavo sempre di cercare le relative immagini online, preferivo sempre visualizzarle basandomi solo sulla mia immaginazione.
A cosa ti sei ispirato per raccontare questa storia?
L'ispirazione netta è arrivata da Il mattino dei maghi, un libro che ho letto da adolescente, grazie a mia nonna. Non è un romanzo, ma un misto di trattazione accademica ed esoterica. Il libro mi affascinò molto, racconta l'aspetto esoterico e quello relativo agli alieni durante la seconda guerra mondiale. Ho sempre trovato interessante, infatti, che la dottrina del nazismo occulto fondesse esoterismo e alieni, ma le teorie erano poco chiare, la narrazione molto appassionante ma caotica. Così, per parecchio tempo, mi sono chiesto come conciliare questi due aspetti. Volevo creare un romanzo che trattasse di esoterismo e alieni, ma con maggior coerenza. Per anni ho lavorato singolarmente sui due argomenti, al fine di creare una storia sui Superiori Sconosciuti che fosse complessa e ben strutturata.
Come hai caratterizzato i personaggi?
Con più realismo possibile, quello che troppo spesso manca nei romanzi fantasy o sci-fi. Credo, infatti, che l'elemento cardine di una storia fantascientifica sia la definizione di una scienza che, per quanto fantastica, abbia delle solide basi, come quelle che ho creato descrivendo dettagliatamente il flusso ËVA o DË. I personaggi con cui interagisce il lettore possono contribuire molto a questo fine: più sono realistici e credibili, meno si avverte il distacco tra realtà ed immaginazione.
Ogni volta che ho caratterizzato un personaggio, l'ho fatto da criminologo, analizzandone il background e approfondendone la psicologia. Ho sempre creato un rapporto causa effetto, immaginando le reazioni che un certo vissuto avrebbe provocato in determinate circostanze, delineando le storie singolarmente. Ritengo che questo spessore realistico crei un punto di contatto col lettore, rendendo credibili perfino i racconti di fantasia. Anche in una storia fantascientifica, infatti, è giusto trovare personaggi che ragionano, agiscono e reagiscono come nella realtà quotidiana.
A quale genere appartiene il romanzo?
La Caduta è un romanzo di fantascienza con sfumature distopiche. Appartiene infatti al genere fantascientifico, ma anche a quello ucronico e distopico, perché fortemente caratterizzato da un elemento innovativo, il flusso ËVA o DË. A differenza di altri romanzi distopici, però, dove degli eventi alterano la reale narrazione storica, io non ho inteso l'elemento innovativo come una scoperta, bensì come qualcosa che da sempre ha accompagnato la storia dell'umanità.
Come hai scelto l'impostazione narrativa?
Sono andato per esclusione. Non amo, infatti, i romanzi raccontati in prima persona, a mo' di diario. Ho sempre apprezzato, invece, quelli narrati in terza persona perché trovo che a livello tecnico offrano una possibilità in più al narratore: poter aggiungere delle descrizioni o degli elementi che i personaggi non conoscono. Farlo in prima persona risulterebbe una contraddizione, perché un personaggio che ignora qualcosa non può certo descriverla.
Quali ricerche hai dovuto compiere prima della stesura?
In realtà non ho fatto delle ricerche preliminari, sono partito dalle conoscenze acquisite grazie agli insegnamenti di mia nonna, sin da bambino. Tuttavia, ho dovuto documentarmi durante alcuni approfondimenti, soprattutto di eventi storici. Nonostante un romanzo di fantascienza distopico e ucronico permetta grande libertà, trovo sia indispensabile documentarsi qualora si voglia descrivere un evento esattamente come è avvenuto. Trovo che sarebbe scorretto non farlo.
Pensi che scrittore si nasca o si diventi?
Scrittore si diventa, non è questione di talento. La scrittura si apprende e viene affinata nel tempo, tutte le arti sono il risultato di un percorso. Si può nascere con particolari doti, ma esse possono essere coltivate o meno nel corso dell'esistenza. Mia nonna, per esempio, per tutta la vita ha continuato a scrivere della seconda guerra mondiale, soprattutto dell'Olocausto, ed io ho interiorizzato questo tipo di condizionamento. Per quanto mi riguarda, senza dubbio mi identifico anche nell'essere scrittore, ma non solo. Penso che nel 2023 limitarsi ad essere definiti da una sola caratteristica sia banale ed obsoleto, e rischi di diventare una mera etichetta. Sinceramente guardo con scetticismo a chi afferma di essere nato scrittore o altro.
A grandi linee, quali sono le parti che hai modificato, cancellato o aggiunto in corso d'opera per ottimizzare il tuo romanzo?
Beh, impossibile ricordare tutto, in ogni fase editoriale ho cancellato, modificato o aggiunto qualcosa. Il motivo risiede nel fatto che, trattandosi del primo romanzo di una saga complessa, articolata con flashbacks e flashforwards, ho avuto più volte la necessità di adattarne alcune parti. Sicuramente ho rifinito molto, la versione iniziale era di quasi 1112 pagine, quasi il doppio di quella finale. Poi ho cesellato altre parti, come ad esempio il flashback di Ikar, che ho creato da zero, mentre l'ultimo capitolo l'ho quasi riscritto completamente perché volevo fosse più incisivo. Ritengo sia un elemento chiave mantenere sempre un'idea chiara della storia narrata, e in generale tutte le mie modifiche sono volte a questo.
Spesso gli scrittori si lamentano di interagire con giornalisti o critici che non hanno letto i loro libri. Cosa ne pensi?
Penso che, in tal caso, interviste o critiche non vanno considerate come tali, non avrebbe senso. Un'intervista volta a presentare un libro in uscita ovviamente non rientra in questi casi, ma una critica pubblicata senza aver letto l'opera è inconcepibile e assolutamente non professionale. Tuttavia, nell'ambito di un'intervista mirata a dare un feedback di un'opera o di un autore, ritengo sia più grave non aver fatto ricerche sulla persona rispetto a non aver letto il libro: credo che l'opera possa essere sempre spiegata, l'autore molto meno.
Qual è la domanda che vorresti ti fosse posta in merito al tuo libro e, in generale, alla tua attività di scrittore?
Tante sarebbero le domande… Riguardo al libro: "Cosa hai dovuto sacrificare per scrivere il romanzo?". In effetti si parla tanto di attività artistiche, ma ho notato che spesso agli artisti si chiede solo come arrivare a certi risultati ma non quali sacrifici siano necessari. Nel mio caso la risposta sarebbe : "Il tempo". Tutte le fasi di scrittura di un romanzo richiedono infatti moltissimo tempo e purtroppo quando si scrive per molte ore al giorno si riescono a fare poche altre cose nella vita. Ad esempio, in certe fasi delicate di stesura, anche un viaggio o semplicemente un'occasione di vita sociale diventano inaccessibili e, mio malgrado, anch'io ho dovuto più volte rinunciare. Riguardo invece alla mia attività di scrittore, la prima domanda che mi viene in mente è: "È difficile mettersi in gioco?". Risponderei che oggi si è inevitabilmente esposti al giudizio globale, prima tutto rimaneva in un ambito più locale. Con i sistemi di distribuzione attuale, infatti, basta una traduzione per arrivare in breve tempo sul mercato mondiale.
Quali consideri i personaggi portanti del tuo romanzo?
Per me è abbastanza ovvio, i personaggi portanti sono El, Pekamo, Malia, Neferi e Ororo il Viaggiatore. Tutti i personaggi sono importanti nella mia storia, ma loro sono i veri protagonisti. El è indubbiamente l'elemento trainante, nonostante sotto certi punti di vista possa sembrare un pò più semplice, soprattutto all'inizio. Nei primi capitoli Ororo il Viaggiatore non compare molto, ma successivamente il suo personaggio viene molto approfondito, in certi casi anche più degli altri. Neferi è la figura più complessa, perché è quella che compare di meno, due sole volte in una trama molto lunga. E quando un personaggio ha così poche occasioni per apparire, va necessariamente definito in modo nettissimo, questa è stata la vera difficoltà. Neferi, El e Anorà infatti sono i personaggi chiave di tutto il MultiMünda, e chi leggerà Le cronache di Sethi-T'-Anaris, in uscita a breve, capirà di cosa stiamo parlando.
Cosa chiederesti ad ognuno di loro?
A Pekamo chiederei se ha mai trovato la pace. A Malia se è riuscita a ricongiungersi con Neferi. A Ororo se avrebbe rifatto tutte le scelte che l'hanno portato agli eventi drammatici che si verificano. Sono indeciso, invece, su cosa domandare a Neferi che, come dicevo, è il personaggio più complesso… sì, forse le chiederei solo se adesso è felice.
Qual è stato il personaggio più difficile da delineare?
Il più difficile in assoluto è stato quello di Neferi. È un personaggio chiave, è una protagonista pur essendo poco presente nella narrazione, a volte è solo un'eco, una sovrapposizione. In quei casi ho dovuto caratterizzarla con grandissima attenzione e meticolosità, perché, rispetto alle altre figure, non avevo la possibilità di raccontarla giorno per giorno, affinandone progressivamente certi aspetti. Quando lo scrittore ha poco spazio per un personaggio fondamentale deve delinearlo in maniera estremamente netta, con mille sfumature; può sembrare un controsenso, ma deve renderlo preponderante anche nell'assenza.
E invece il più semplice?
Sinceramente nessuno. Neanche tra le figure secondarie ce n'è stata una semplice da delineare. Come dicevo, ognuno dei miei personaggi è dotato di iperrealismo, frutto di un'analisi psicologica approfondita e di un background spesso molto complesso. I miei personaggi sono come le persone reali e nessuna persona in fondo è semplice.
Quali sono le sfide più frequenti che uno scrittore può trovarsi ad affrontare?
Beh, sono varie, cerco di approfondirne qualcuna.
In primis, soprattutto nell'ambito dei romanzi di esordio, credo sia l'impazienza. L'ispirazione iniziale arriva e ben presto diventa una fame irresistibile. Continuando a scrivere la fame tende a placarsi, ma spesso arriva una fase di assestamento e alcuni si bloccano. A me, per esempio, è capitato molte volte di leggere bozze di altri scrittori che ad un certo punto, partiti con grandissimo entusiasmo, si sono arenati o addirittura fermati definitivamente. Fondamentale è capire i propri limiti e crearsi un metodo di lavoro che permetta di produrre costantemente senza stressarsi troppo ed inutilmente. La scrittura è un lavoro molto lungo, occorre quindi tanta pazienza e costanza.
Altro elemento fondamentale è avere un'ispirazione chiara. È ovvio, tuttavia, che pur avendola trovata, riuscire a metterla nero su bianco in maniera coerente e comprensibile non è da tutti. Ho letto bozze di scrittori con menti brillanti ma troppo complesse e caotiche per il mercato, laddove la scrittura era invece finalizzata essenzialmente a vendere.
A mio parere un'altra notevole sfida è riuscire a capire, sin dall'inizio, se si sta scrivendo per passione o per necessità. La scrittura è sicuramente un modo per ottenere buoni introiti, ma chi lo fa per necessità di guadagnare deve impegnarsi ancora di più.
Riguardo ai romanzi storici, distopici e ucronici bisogna essere molto attenti nel documentarsi, ricerche superficiali, infatti, possono causare varie incongruenze nella trama. Inoltre, in ogni genere letterario, vanno attentamente verificate certe espressioni linguistiche da noi interiorizzate come corrette, ma a volte riconosciute valide solo nella lingua parlata. Nonostante si cerchi spesso un approccio sperimentale, bisogna sempre rispettare certe regole sintattiche.
Altra ardua sfida è riuscire a capire quanto si è disposti a sacrificare per la scrittura , soprattutto in termini di tempo.
Non bisogna, inoltre, peccare di presunzione in merito ai propri scritti, come molti invece fanno. Il dissenso di qualcuno non deve diventare un problema o un limite, ma, al tempo stesso, il consenso altrui non deve diventare un punto di forza, va sempre ponderato tutto con cautela.
Dobbiamo comprendere che si è scrittori sia che si arrivi a vincere premi prestigiosissimi, uno su tutti il premio Nebula, sia che si scriva semplicemente per regalare il proprio libro agli amici. Non è il mondo a definire una persona come scrittore. Lo si è se ci si sente tale e se si ama scrivere, se si sente l'esigenza di farlo.
Ultima sfida che citerei è quella di non commettere l'errore di scrivere solo ciò che si pensa possa piacere agli altri, perché questo finisce per condizionare tutto il lavoro e limitare qualunque esperimento. L'arte, infatti, è fatta di sperimentazione: bisogna mettersi alla prova, azzardare sia nello stile che nella trama, uscire dalla propria comfort zone.
E tu, quindi, scrivi per passione o per necessità?
Credo sia impossibile iniziare a scrivere per necessità. Io ho avuto la fortuna di poter scrivere solo per passione. Ho sempre lavorato, ho sempre avuto una situazione economica abbastanza stabile da darmi la possibilità di dedicarmi alla scrittura senza l'ansia del guadagno. Questo purtroppo non è possibile per tutti quelli che vorrebbero farlo, molti hanno esigenza di lavorare, e spesso anche per molte ore al giorno. Ma poiché la scrittura richiede molto tempo, soprattutto nelle prime fasi di stesura, è necessario poter contare su una discreta situazione economica di partenza.
Pensi che il rifiuto faccia parte del percorso?
La ritengo una mentalità obsoleta che risale a una ventina d'anni fa, quando il rifiuto faceva necessariamente parte del percorso. Adesso con il self publishing i rifiuti da parte degli editori sono finalmente diventati evitabili. Scrivere non è come partecipare ad un casting, ne ho fatti tanti in passato, soprattutto nel campo della moda e so cosa vuol dire, ma bisogna anche capire le modalità in cui si è rifiutati. Credo che da un lato ci sia un modo più elevato e costruttivo, volto a spiegare certi limiti e dall'altro, invece, un modo più strumentale di rifiutare qualcuno. Personalmente, per tutelarmi dalla delusione del rifiuto, soprattutto in occasioni in cui sapevo di non meritarlo, ho sviluppato una sorta di presunzione strutturata: tanto tempo fa ho giurato a me stesso che non avrei mai permesso a nessuno di definire me o le mie opere, perché credo che qualunque creazione sia stupenda in quanto proiezione di noi stessi e della nostra mente. Come scrittore, infatti, non temo il rifiuto: io non posso rifiutare me stesso, quello in realtà sarebbe l'unico problema. Mi è indifferente che un terzo non apprezzi una mia opera, può farmi piacere che l'apprezzi, ma mi risulta altrettanto indifferente. La creazione esiste indipendentemente dal consenso o dal rifiuto, da qualunque tipo di riscontro, perché ha una vita a sé. Credo che gli scrittori, anche gli esordienti, dovrebbero essere più sicuri di sé in questo senso, e soprattutto riuscire a capire se quello ricevuto è un rifiuto vero o magari solo una necessità dettata spesso da motivi puramente commerciali.
Cosa spinge a perseverare nei momenti di demotivazione?
Nel mio caso innanzitutto il fatto di non aver mai sopportato le questioni in sospeso.
Quando creo una storia, infatti, io mi identifico in ciò che sto scrivendo e immagino di viverla passo dopo passo. L'idea di non portarla a termine è come viaggiare senza raggiungere la destinazione, mancanza per me inconcepibile. Nei periodi di demotivazione è stato importantissimo, almeno per quanto mi riguarda, vivere giorno per giorno. È vero, si scrive considerando un quadro generale, però bisogna anche essere focalizzati sulla giornata, sui singoli pezzi, scene, paragrafi, capitoli, chiusure. Restando concentrati su quello si evita di pensare troppo a tutto il tempo e il lavoro che ci separa dalla conclusione. All'inizio capita a tutti gli scrittori di calcolare tempistiche che poi si rivelano inutili se non dannose, occorre quindi focalizzarsi sul quotidiano, passo dopo passo, fino a raggiungere l'obiettivo finale.
Come credi si debba reagire ad una critica negativa?
Si tende ad essere tutti molto suscettibili riguardo alle critiche negative, capita spesso di non prenderle bene e può essere comprensibile dopo tanto lavoro e sacrificio. Io però mi sono sempre imposto di non permettere ad altri di condizionarmi, ritengo vada sempre posto un filtro tra noi e chi ci giudica, sia negativamente che positivamente. Il pensiero altrui non dev'essere determinante, neanche quello degli stessi critici, giacché ogni persona giudica in base alla sua personale formazione. Come criminologo posso affermare che chiunque, ad eccezione dei matematici, fornisce sempre un'interpretazione soggettiva e iper condizionata. Nessuno esprime una critica oggettiva al 100%. D'altra parte noi scrittori dobbiamo avere quella lungimiranza e diversificazione mentale per capire che né le note positive, né quelle negative devono influenzarci. I nostri libri, le nostre storie hanno una vita indipendentemente da quello che pensano le persone e dai tempi che corrono. Ad esempio, se "Il signore degli anelli" fosse stato scritto oggi, avrebbe avuto un impatto molto diverso rispetto alla sua epoca. Bisogna capire noi stessi, gli altri ma anche le nostre stesse opere. Lo scrittore deve essere sicuro di ciò che ha scritto, delle proprie caratteristiche, della forza della propria trama. Non è un riscontro negativo a renderlo meno importante. Ciò non significa non tener conto delle critiche negative, bensì coltivare gli strumenti per discernere gli elementi costruttivi da quelli invece iper condizionati, sia in negativo che in positivo, come ad esempio i fan che apprezzano solo per passione e senza senso critico. Dobbiamo essere noi scrittori a capire il reale valore di quanto ci viene detto, non reagire male ma neanche accettare passivamente, distinguendo cosa è davvero rilevante e cosa non lo è. Ciò non vuol dire negare l'oggettività di certi errori, ma i commenti vanno valutati da osservatore esterno, con il giusto distacco.
Hai mai avuto periodi di confusione o sconforto durante la stesura del romanzo, o, in generale, durante la tua attività di scrittore? Se sì, come hai evitato che ti distogliessero dai tuoi obiettivi?
Non ho mai avuto periodi di confusione, ero profondamente concentrato, soprattutto nel primo periodi della stesura, che ha coinciso con la pandemia e il conseguente lockdown. Avevo idee molto chiare sulla trama e, per causa di forza maggiore, molto tempo per svilupparla.
Momenti di sconforto invece ne ho avuti, tanti, soprattutto perché il romanzo d'esordio di una neo saga ti sfianca sulla lunga distanza, giorno dopo giorno. Occorrerebbe, infatti, rilassare periodicamente la mente, staccare la spina e prendersi un periodo di pausa. È stato molto triste, a causa della pandemia, non poter partire per la Scozia, come faccio abitualmente in questi casi, e ritrovare l'energia per andare avanti nella scrittura non è stato facile.
Tra i tanti, un momento di profondo sconforto l'ho vissuto dopo la revisione della bozza iniziale, alla fine della prima stesura, infatti, si pensa erroneamente di aver fatto il 90% del lavoro, e invece forse non se ne è fatto neanche il 40%. Ci sono molte fasi successive, o addirittura, come è capitato anche a me, si finisce per riscrivere il libro quasi completamente. L'incertezza di quei mesi mi ha abbattuto molto, ma mi ha sempre risollevato la consapevolezza del valore della mia storia. Perché quando arriva la scintilla creativa dell'ispirazione, la vera difficoltà è trasformarla in un fuoco, per cui creare una trama valida diventa una responsabilità, ed io l'ho sempre sentita fortemente.
Cosa consiglieresti ad un aspirante scrittore?
Ad un aspirante scrittore consiglierei di guardarsi intorno, fare esperienze, capire cosa realmente gli piace. Scrivere di qualcosa che ci appassiona è l'unica strada possibile per creare, poichè la stesura di un libro è un percorso molto lungo e c'è sempre il rischio di desistere prima o poi. Sperimentare, conoscere luoghi e contesti diversi aiuta a trovare l'ispirazione, restando invece chiusi in un contesto ristretto si corre il rischio di miniaturizzare il mondo e miniaturizzare di conseguenza anche la trama del racconto. Certo, si può trovare ispirazione ovunque, anche in un contesto ristretto, ma l'importante è avere in sé più colori che permettano di interpretare la realtà.
Dare un consiglio ad uno scrittore emergente è invece più complesso. Gli consiglierei innanzitutto di non aspettare invano che una casa editrice si accorga di lui, di non pagare costosi agenti letterari, ma di autopubblicare. C'è una vasta scelta di possibilità in questo senso e soprattutto nessuno ci restituisce il tempo perso. La crisi dell'editoria non lascia molto spazio agli esordienti, gli editori, qualora disposti ad accettare manoscritti, hanno tempi di valutazione lunghissimi, mentre le agenzie letterarie richiedono spesso cifre esorbitanti non certo alla portata di tutti. Va abbandonata la vecchia mentalità, lo scopo è pubblicare la propria opera, farsi conoscere il più possibile e magari arrivare ad essere contattati, di conseguenza, dalle stesse case editrici. Gli scrittori non devono più essere schiavi degli editori e delle agenzie letterarie, ma essere padroni delle proprie storie e invertire il vecchio sistema.
Portare a termine la stesura di un libro è un'impresa a cui molti aspirano ma in cui pochi riescono. Tu cosa hai imparato in questo percorso?
In Italia oltre il 70% degli autori che hanno iniziato un libro non l'ha poi portato a termine. Spesso mi trovo a valutare bozze o consigliare aspiranti scrittori e posso confermarlo. Io ho lavorato giorno per giorno, evitando di focalizzarmi sulla distanza che mi separava dall'obiettivo, come un viaggio fatto scalo per scalo. Tenere a mente il quadro generale a livello concettuale è molto importante, ma bisogna navigare a vista per non rischiare di piegarsi sotto il peso dell'intero mondo non ancora scritto, come un moderno Atlante. Per quanto mi riguarda, ho creato un metodo di lavoro che anche nei giorni di gran stanchezza riuscisse a distogliermi dalla tentazione di fermarmi, imponendomi comunque un numero di ore di lavoro, magari anche solo di ricerca. D'altronde, un metodo quotidiano e costante è sempre indispensabile per raggiungere risultati concreti, in qualunque tipo di attività.
Hai intenzione di continuare la carriera di scrittore?
Assolutamente sì, soprattutto perché ho ancora tantissimo da scrivere sul DË MultiMünda. Ho imparato tantissimo in questi anni, anche come velocizzare certe fasi, e adesso, sotto certi aspetti, è tutto un po’ più semplice. Ho deciso di continuare a scrivere perché ho raggiunto ormai il mio equilibrio e certi aspetti non mi creano più disagio, so di aver posato delle basi forti. Certo, sono consapevole che ci sarà moltissimo lavoro da fare, ma nel futuro vedo un percorso in discesa. Una discesa non proprio ripida ma comunque in discesa, e io ho dei piedi forti.
Hai altri romanzi in uscita o in programma?
Molti. In prossima uscita ci sono altre due opere. Innanzitutto Le cronache di Sethi-T'-Anaris vol 1 e 2, che consiglio assolutamente perché è un flashback dell'origine della storia che porta agli eventi del romanzo La Caduta. E' un'opera a cui tengo molto e che considero anche un tantino superiore alla precedente. Subito dopo uscirà Racconti del DË MultiMünda, il primo volume, che raccoglie racconti in stile Lovecraftiano che narrano di tutto e ambientati un po' dappertutto. Non c'è rapporto di propedeuticità con i precedenti ma, per una miglior comprensione, sicuramente aiuterebbe averli letti. Oltre a questi, già completi e in imminente uscita, sto scrivendo Le cronache di Phioconnisfirāh, seguito di Le cronache di Sethi-T'-Anaris . Seguiranno poi dei racconti a parte, I pellegrini di Ekaradon e Gli infanti di Valhöll. Quest'ultimo sarà un romanzo autoconclusivo breve, che racconta la nascita e l'avvento dell'Iмpеråtаt. Ovviamente in programma c'è anche La Leggenda, seguito del romanzo La Caduta.
Che tipo di scrittore e di lettore ti consideri?
Mi considero lo scrittore di fantascienza del DË MultiMünda, non di altro genere fantascientifico. Non sono uno scrittore da romanzi autoconclusivi, preferisco le saghe, progetti più complessi. Come lettore ho sperimentato qualunque stile o genere, ho divorato libri sin da bambino. Non amo molto certe trame moderne, incentrate spesso sui vampiri, che trovo banali e scritte in modo ancor più banale. Credo però che anche ciò che non apprezziamo abbia un valore formativo, poiché ci insegna molto sui nostri gusti e attitudini.
Quali generi letterari prediligi?
Prediligo le storie più stimolanti e impegnative a livello mentale, sono un appassionato di romanzi dell'epoca vittoriana, come Frankenstein o Dracula. Riguardo alla letteratura più recente, ho una buona cultura di fantasy degli anni '80 e '90 come la saga di Dragonlance, anche se adesso non li considero dei capolavori. Mi piace molto anche il fantasy classico come Il signore degli anelli, o meglio mi piaceva molto da ragazzo, adesso forse un po’ meno. Come si può immaginare amo particolarmente la fantascienza, soprattutto Asimov e Dick e, negli ultimi anni, la saga di Expanse, ma purtroppo deve ammettere che attualmente di fantascienza interessante ce n'è pochissima.
Da lettore, cosa apprezzeresti maggiormente del tuo romanzo "La Caduta"?
Apprezzerei soprattutto la complessità dei luoghi, descritta in maniera molto vivida, con una ricchezza di dettagli che arrivano al lettore senza neanche bisogno di ricorrere all'immaginazione, e senza dubbio amerei molto il realismo dei personaggi. I loro rapporti ed interazioni sono iper coinvolgenti. Da persona un po’ malinconica, come sono sempre stato, apprezzo il velo di tristezza e la sorte avversa che tocca un po’ tutte le figure, la trama in generale. Cos'altro apprezzerei, in pochissime parole? Sicuramente i tanti e incredibili colpi di scena, specialmente nel vol 2. Credo siano una gran bella idea, in un tempo in cui tutto sembra già visto, già letto, ed è sempre più difficile trovare qualcosa che sia davvero sorprendente.
E per concludere, perché dovremmo leggere il tuo libro?
Perché ciò che ho scritto e l'entità del lavoro svolto hanno creato un'opera unica, nata, secondo me, più come una sorta di stesura automatica che come mia scelta consapevole, e credo che questo si percepisca. Mi sono spesso immedesimato in un lettore del mio libro e confesso che l'idea di trovare un romanzo del genere in commercio mi piacerebbe tantissimo. In realtà cercavo da molto qualcosa di simile e alla fine… me lo sono scritto io stesso. Essendo quindi il mio primo critico e lettore, penso che il mio parere possa valere anche per gli altri. Al momento non esiste nulla del genere nel panorama letterario, perché il mio romanzo rievoca le opere del periodo di fioritura della fantascienza, anni '70, '80 e '90, ma con un tocco di iper modernità, come un ponte tra passato e futuro. Credo inoltre che la caratterizzazione dei personaggi possa rappresentare il futuro della narrativa sci-fi, aiutando il lettore a considerarli più reali. Un libro di fantascienza che potenzialmente possa far immaginare che quello descritto sia davvero un universo parallelo al nostro, un emisfera parallelo al nostro … insinuando magari un piccolissimo dubbio in qualche lettore… beh, sarebbe una grande conquista.
In conclusione credo che il mio romanzo sia un ottimo luogo dove rifugiarsi da tutto quello che ci circonda. Io l'ho fatto…e credo che anche gli altri possano riuscirci.
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